Parlare della storia del Mezzogiorno d’Italia significa analizzare l’impatto decisivo che il mare ha avuto su di essa. Infatti, il mare è stato il luogo dove per secoli le grandi civiltà si sono mosse con l’obiettivo di scoprire nuovi territori e stabilire relazioni commerciali con altri popoli. Tuttavia, oltre che trasportare merci e oggetti, le imbarcazioni che solcavano le onde del Mediterraneo favorivano anche la trasmissione di idee, relative alla religione, l’organizzazione della società e il gusto estetico. Dunque, il mare ha rappresentato un fattore che ha inciso profondamente sulla formazione di quel mix di culture che corrisponde al dna del Sud Italia.
Via mare sono giunti sulle coste meridionali della penisola italiana i mercanti micenei, i coloni greci, i guerrieri normanni, i pirati saraceni, le truppe aragonesi prima e spagnole poi. I Romani hanno assegnato al Mar Mediterraneo la definizione di “Mare Nostrum”, cercando di fissare i confini dei propri territori e attribuendo allo spazio marittimo un ruolo strategico non solo per le rotte commerciali che esso apriva, ma anche perchè costituiva uno strumento di espansione e conquista. Infatti, il termine compare per la prima volta nell’opera De bello gallico di Cesare, quando si parla dei preparativi della spedizione in Britannia.
Occorre ricordare che il movimento via mare costituiva in passato il modo più semplice per muoversi su distanze significative. Il fatto di essere un mare chiuso, circondato dalla terraferma, rendeva poi il Mediterraneo un’area dove, in confronto agli spazi oceanici, i contatti erano particolarmente intensi durante tutto l’anno. Il Mediterraneo era, inoltre, il punto di incontro di tre continenti ospitanti civiltà molto diverse: Europa, Africa e Asia. Si trattava di un ruolo cruciale, che purtroppo il Mediterraneo smise di esercitare nel momento in cui i portoghesi aprirono nuove rotte che arrivavano all’India circumnavigando l’Africa o si rivolgevano verso l’Atlantico, sulla scia delle scoperte effettuate da Cristoforo Colombo.
Malgrado ciò, nell’antichità il mare era considerato un luogo insidioso, uno spazio di morte più che di vita. Esso costituiva una metafora della precarietà dell’esistenza umana, ingestibile com’era. Ad esempio, per i Greci esso rappresentava una sorte di portale che metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. Il katapontismos o “salto in mare” è un gesto che ritroviamo in molti rituali antichi. Esso sembra dischiudere all’uomo le porte di nuova dimensione. Lo testimonia anche l’affresco della Tomba del tuffatore di Paestum, che raffigura proprio un uomo intento a saltare nell’acqua. Il salto inteso come momento di passaggio dalla vita alla morte. Un’idea che conferma la visione che ancora oggi tutti noi abbiamo del mare: sconfinato e perciò sinonimo di libertà, ma anche insondabile e misterioso.